mercoledì 18 gennaio 2012

The Life After

E mi dissero che dovevo andarmene, che dovevo trovare il mio posto nel mondo. Io non capivo, non sapevo quale fosse il mio posto nel mondo, quale fosse la mia missione. Non sapevo dove si trovasse casa mia, né se ne avessi una. E dov'era il mio talento? Qual era il mio dono! Io non sapevo nulla, e non mi conoscevo. Ma dovevo andare, si me lo ripetevano sempre, dovevo andare! Dovevo cercare il mio posto nel mondo.
Poi mi innamorai, e fu una storia bellissima, di quelle che cominciano con "c'era una volta", e loro smisero di dirmi che dovevo andare per il mondo a cercare il mio posto. Forse credevano che l'avessi trovato, accanto alla donna che amavo. E io mi sentivo leggero,e non mi interessava più sapere quale fosse il mio dono, perché mi sentivo a casa, mentre prima non sapevo di averla.
Ma la storia finì, e non finì con "happily ever after". E loro mi dissero che dovevo andare, che dovevo cercare il mio posto nel mondo. Si erano sbagliati, si erano sbagliati tutti, e io non avevo più una casa. E mi sentivo forestiero, e il mondo era pesante.
Poi incontrai il conforto di un amico, e mi diceva che ero bravo, e io sapevo fare tante cose. E le facevo tutte, mi piaceva fargliele vedere. Ma un giorno se ne andò, perché doveva seguire la sua strada, e io non capivo, perché le strade c'erano anche li, ma lui doveva seguirne una lontana. E loro presero a dirmi che dovevo andare, che non potevo restare, che dovevo sbrigarmi a trovare il mio posto nel mondo, ché altrimenti non l'avrei più riconosciuto. Io per timore abbandonai tutte le cose che sapevo fare, e che mi piacevano, anche perché non avevo a chi farle vedere, e mi misi a vagare tra mille possibilità ma non feci nulla, perché non conoscevo il mio dono, e quale fosse il mio talento.
Poi un altro giorno – la vita ne è piena – mi dissi basta, che non li avrei più ascoltati, che erano dei bugiardi e che non capivano nulla. Ma loro continuarono a parlarmi, e passarono tanti, tanti giorni, che non saprei raccontarli, e io non li ascoltavo, perché ero cambiato. Arrivò anche il momento in cui me ne dimenticai, dimenticai le parole che mi dicevano perché il loro parlare era un sottofondo così familiare da sembrarmi vuoto, e la vita mi andava bene e non avevo tempo per pensare al mio posto e al mio dono.
E così mi ammalai, di una malattia che solo la morte può guarire, mi ammalai di vecchiaia. E la vecchiaia mi faceva danzare davanti agli occhi tutti i giorni passati, tutti quei giorni che avevo dimenticato, e loro mi consolavano, dicendomi che io avevo un dono, ma io piangevo perché non avevo mai saputo di averlo. E mi confortavano dicendo che avevo una casa, ma io sospiravo perché erano tante e le avevo credute perdute. E mi salutavano, perché dicevano di non avere più nulla da dirmi, ma io sorridevo perché era un arrivederci, io lo sapevo, adesso sapevo tutto, e mi conoscevo, e conoscevo il mio gusto per gli "arrivederci".

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